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La Fondazione Di Liegro opera dal 2006 nel campo della salute mentale collaborando con istituzioni pubbliche e private nella realizzazione di progetti, attività e ricerche finalizzate alla promozione del benessere psicosociale, la prevenzione del disagio psichico e la diffusione della cultura e della conoscenza della salute mentale. Nel corso del tempo, questo impegno si è focalizzato in particolare sul disagio giovanile, organizzando corsi di formazione tematici, progetti di alfabetizzazione emotiva e percorsi di peer education nelle scuole, attività di ricerca.

La constatazione che la salute mentale nella fascia d’età giovanile, momento cruciale dello sviluppo e per l’insorgere di eventuali difficoltà nello sviluppo, sia infatti un tema di grande rilevanza e su cui è necessario agire in termini di informazione, protezione e prevenzione, è stata ulteriormente convalidata dall’edizione 2018 del World Mental Health Day, dedicata a “giovani e salute mentale in un mondo che cambia.

I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sottolineano infatti che nel mondo il 10-20% di bambini e adolescenti soffre di disturbi depressivi e che le patologie neuro-psichiatriche sono la principale causa di disabilità nei giovani di tutte le Regioni OMS. Un adolescente su 6 nella fascia di età 10-19 anni soffre di disturbi mentali. Inoltre, il 50% dei problemi inizia prima dei 14 anni, ma la maggior parte dei casi non viene rilevata e non viene trattata. E ancora: il suicidio è terza causa di morte tra i giovani tra i 15 e i 19 anni.

Esiste un rischio concreto che i problemi di salute mentale sviluppati durante l’adolescenza possano continuare nell’età adulta o diventare persino cronici (OMS, 2005).

Da queste considerazioni nasce l’impegno della Fondazione nel rivolgere un’attenzione particolare alla fascia d’età giovanile. Le azioni intraprese hanno l’obiettivo di rafforzare, attraverso interventi diretti e indiretti, i fattori protettivi così da prevenire lo sviluppo di problemi di salute mentale.

Progetti e iniziative della Fondazione Di Liegro per i giovani:

Povertà educativa e impegno del Terzo settore: Unire le forze, formare e informare, riflettere sul significato di eguaglianza ed equità. Ma soprattutto tenere in considerazione i bisogni dei giovani e renderli protagonisti. Sono questi i temi dell’intervento di Anna Maria Palmieri, psicologa-psicoterapeuta della Fondazione Di Liegro al workshop “La Comunità Educante ai tempi del coronavirus. Analisi, riflessioni, idee e proposte per la creazione di una Comunità Educante Smart”, organizzato dal progetto “Libera il futuro”.

Per combattere la povertà educativa, il Terzo Settore può contribuire nell’aiutare la scuola, unendo le forze. Questo non significa delegare ruoli e funzioni, ma valorizzare i punti di forza di ognuno e capire il contributo che ogni ente può dare per un percorso, un progetto comune come “Libera il futuro”.

Un altro aspetto fondamentale è quello di affiancare alla formazione anche attività di informazione, che è un tratto distintivo della Fondazione Di Liegro. Le diverse agenzie educative devono impegnarsi su entrambi i fronti, come agenzie di formazione e informazione, che favoriscono sia modalità di apprendimento formali che non formali. Può accadere all’interno dei centri di aggregazione giovanile o nei corsi di formazione, dove è possibile sperimentare percorsi diversi rispetto alle istituzioni o affiancarle per creare dei movimenti generativi.

Allo stesso tempo, è importante distinguere fra “uguaglianza” ed “equità”. L’uguaglianza prevede che tutti siano trattati allo stesso modo, che tutti abbiano le stesse cose: nel caso della Didattica a distanza significa fornire una buona connessione e un computer valido a tutti. Equità significa invece dare le stesse opportunità. Se andiamo all’etimologia della parola “crisi” (dal greco “krino”: separare, discernere, giudicare), vediamo che la crisi causata dal Coronavirus ci offre l’opportunità di valutare e fare nuove scelte, insomma di cogliere un’opportunità. Per questo, bisogna tenere presenti i bisogni dei giovani. Equità, quindi, vuol dire anche considerare che le traiettorie evolutive degli adolescenti non sono tutte uguali, quindi fare attenzione a che con la Didattica a distanza, davanti a un monitor, non si perdano. Bisogna far sì che ogni ragazzo possa trovare il proprio canale educativo per esprimersi.

Basti pensare alla tecnologia. Accanto ai nativi digitali troviamo gli immigrati digitali, quelli nati prima del ’95. Durante l’emergenza COVID-19 questa disparità di conoscenze informatiche è emersa chiaramente e, in molti casi, sono stati gli studenti a insegnare ai propri docenti come utilizzare le piattaforme. Si è trattato di un momento importante dal punto di vista educativo, perché permette ai ragazzi di veder riconosciuta una propria competenza in percorsi di formazione reciproca e di essere presi sul serio. La nostra esperienza con la Fondazione Di Liegro, con i progetti di alfabetizzazione emotiva e peer education, ci dice che uno dei bisogni principali dei ragazzi è proprio questo: essere presi sul serio.

L’esperienza ci dice infatti che è difficile coinvolgere i ragazzi nei progetti. Nell’adolescenza cambiano i punti di riferimento, gli interlocutori privilegiati del loro dialogo non sono più famiglia e scuola, ma il gruppo. Ecco perché è necessario scegliere metodologie diverse (come peer education e youth worker, per far lavorare i giovani su una serie di competenze. Alla povertà educativa non deve affiancarsi la povertà emotiva. Sappiamo che l’apprendimento va a braccetto con l’emozione e che le emozioni sostengono l’apprendimento: bisogna quindi sostenere le competenze emotive e sociali,. Una complessità che la Scuola è chiamata a tenere presente. Lavorare insieme, unire le forze per affrontare queste complessità è la strada da seguire.

#Liberailfuturo è un progetto triennale, a cui partecipa anche la Fondazione Di Liegro, dedicato agli studenti romani, tra gli 11 ed i 17 anni, di cinque Municipi della Capitale (I, VII, VIII, XI, XIV e XV), in cui si manifestano forme di disagio giovanile, come abbandono degli studi, microcriminalità e vandalismo. Obiettivo di #Liberailfuturo è quello di ridurre la minaccia dell’isolamento e della marginalità sociale. Con l’auspicio, una volta concluso il progetto, di aver creato un tessuto relazionale di vicinato in grado di sostenere una formazione identitaria delle nuove generazioni (welfare comunitario) e di restituire ai ragazzi il valore della solidarietà e della partecipazione attiva alla vita civile.

Il sito del progetto

“Dicono: c’è uno psicologo. Ma io non sono matta, che vado dallo psicologo. Tu mi devi dire: vieni, io ti ascolto. Se vuoi pubblicizzarlo devi dire: c’è un posto dove ti ascoltiamo. È molto diverso, perché una persona vuole essere ascoltata, non curata”.
Aurora racconta così l’esperienza di peer education che conduce da un paio d’anni insieme agli altri studenti di due licei romani, il Seneca e il Dante. È un progetto nato dalla collaborazione tra il dipartimento di salute mentale della Asl Roma 1, la Fondazione Di Liegro e la Fondation d’Harcourt.

La “peer education” è una strategia di prevenzione e promozione della salute che si sta diffondendo in vari paesi. Studenti, docenti e psicologi lavorano insieme con l’obiettivo di aiutare i ragazzi a trovare un benessere psico-fisico e relazionale, fatto di autostima, fiducia, amicizia, senso di sicurezza. Quello che cercano, spesso senza averne una chiara cognizione, ma faticano a trovare nel gruppo, nella classe, nella scuola. Vincere il malessere che si vive nell’adolescenza è più facile se ad aiutarti sono tuoi coetanei, opportunamente formati. Ragazzi che condividono le tue esperienze. Diventano un po’ i tuoi tutor e ti avviano verso un percorso di sostegno psicologico.

Ogni settimana a scuola è aperto uno sportello di ascolto, con uno psicologo esperto di età evolutiva. Per prenotare un incontro c’è un foglio bianco su cui i ragazzi possono mettere anche un nickname, oppure solo un segno. Perché, spiega Sofia, ci si vergogna a chiedere un aiuto psicologico, davanti agli amici e anche in famiglia.

Per gli psicologi e i docenti il bilancio di questi due anni è decisamente positivo. I ragazzi che hanno partecipato al progetto sono cresciuti, maturati. Sono diventati molto più consapevoli su tematiche che li coinvolgono, come la cannabis, il fumo, l’alcool, il bullismo. Anche i loro comportamenti si sono modificati; sono più autonomi, più liberi, meno influenzabili da stimoli negativi che possono derivare dal gruppo dei coetanei.
Tutti concordano che è un’esperienza da proseguire e allargare ai genitori.

Ascolto, orientamento e informazione per i
Problemi di
Salute Mentale
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