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Nell’ambito della prevenzione della contenzione, il reparto ospedaliero di SPDC del San Filippo Neri dell’Asl Roma 1, in collaborazione con la Fondazione Internazionale don Luigi Di Liegro, propone un progetto pilota volto a costruire un percorso di rete contro l’isolamento che possa aiutare le persone ricoverate a vivere meglio una situazione di per sé complessa.

All’interno del progetto è prevista l’attivazione di un processo che non sia esclusivamente sanitario, ma anche sociale e di sostegno alle abilità relazionali e di efficacia personale, rispettando la condizione di fragilità dei partecipanti e valorizzandone le risorse. Nella comunicazione mediata dall’arte (musica, pittura, oggetti di lavorazione manuale, scrittura e lettura, movimento corporeo, ecc) si rende possibile lo scambio, e il professionista si fa mediatore della comunicazione interpersonale nel gruppo.

I contenuti e la forma dei laboratori sono stati pensati e scelti per favorire la socializzazione fra i partecipanti, l’ascolto e il riconoscimento reciproco, rispettando lo spazio individuale di ciascuno e la libera scelta di non partecipare oppure semplicemente osservare, a seconda del sentire dei partecipanti. Si vuole quanto più favorire un clima di armonia e accettazione reciproca.

Ciascun incontro ha una propria completezza in considerazione del fatto che la composizione del gruppo è in continua variazione. E’ lasciata agli utenti la libertà di partecipare o meno di volta in volta.

Il progetto Art4Me mette in relazione la salute mentale e l'arte e mira a creare un'opportunità unica per fornire una nuova piattaforma per la condivisione delle conoscenze al di là delle frontiere e delle parti interessate, e un percorso per una migliore responsabilizzazione dei cittadini con o a rischio di avere problemi di salute mentale. È quindi necessaria una lunga serie di nuovi strumenti per affrontare la salute mentale. Mentre l'arte e l'espressione creativa sono state un elemento centrale della cultura europea per millenni, l'uso dell'arte come strumento per la salute mentale è stato scarsamente mappato e le esperienze spesso non condivise.

Il progetto si propone di:

Al fine di prevenire l'isolamento e la marginalità sociale, il progetto propone l'attivazione di un servizio di ascolto e assistenza sul territorio, che fornisce informazioni sui servizi di salute mentale, orienta gli utenti e li supporta nella definizione di un progetto personalizzato con i servizi territoriali.

Per sensibilizzare la cittadinanza sulla salute mentale, il progetto organizza corsi di formazione, informazione e convegni annuali su tematiche come il Recovery e le dipendenze. Gli obiettivi formativi includono la creazione di un gruppo di volontari per facilitare l'inserimento sociale e il percorso terapeutico delle persone con disagio psichico attraverso laboratori di socializzazione, come teatro, musica, fotografia e arte-terapia.

Al fine di contrastare la solitudine dei familiari delle persone con disagio psichico, il progetto promuove gruppi di auto-aiuto con incontri settimanali e supervisione mensile da parte di professionisti, come psichiatri e psicologi, per fornire un sostegno solidale e condividere esperienze.

Il progetto è concepito seguendo un approccio di Recovery, che mira a restituire agli utenti un ruolo attivo, trasformandoli da destinatari passivi a protagonisti coinvolti nelle proprie scelte e impegnati a sviluppare appieno le proprie potenzialità.

Premio amico della famiglia 2009 alla Fondazione Di Liegro per il progetto Famiglie in Rete

L’area di intervento del progetto è stata in prevalenza la zona ASL Roma 2, ma si è rivolta alla cittadinanza di tutto il territorio di Roma Capitale. Il progetto ha permesso un ampio coinvolgimento dell’utenza, dei familiari, della cittadinanza e istituzioni. Le attività implementate rappresentano in gran parte degli esempi di buone pratiche replicabili e esempio di partecipazione civica, empowerment e inclusione sociale di persone isolate o in difficoltà. Le attività sono gratuite per i partecipanti, aperte a tutta la cittadinanza, sostenute da un sistema di monitoraggio e da un uso dei sistemi a tutela della privacy individuale.

Dalle attività progettuali sono emerse sicuramente delle buone prassi nel campo della salute mentale, come l’efficacia restituita alle persone con disagio attraverso la creazione di spazi di socializzazione inclusivi. Infatti, spesso nei servizi di salute mentale le attività laboratoriali sono esclusive per chi ha una diagnosi psichiatrica e le persone rischiano di essere ghettizzate e autoescludersi. Sostenere attività non solo professionalizzanti con maestri d’arte ma anche di socializzazione con volontari e operatori non clinici permette un migliore utilizzo dello strumento es. artistico a favore della riabilitazione e dell’acquisizione di sicurezza da parte della persona. Un’altra buona prassi è favorire l’incontro di familiari di utenti che provengono da diversi contesti: attraverso il confronto e la rete fra persone che affrontano le stesse difficoltà di caregiving è sicuramente un elemento di aiuto per la famiglia intera e la valorizzazione delle risorse.

Gli effetti del Covid sui bambini e ragazzi, tra distanziamento sociale, perdita di routine, ansia e incertezza legata alla malattia, fino alla paura dei genitori e alle difficoltà generate dalla didattica a distanza hanno reso necessario intervenire sulla sfera emotiva e sociale degli studenti, specialmente su quelli delle classi di Terza Media, che hanno iniziato la scuola secondaria poco prima dell'inizio della pandemia.

Il progetto si basa sull'approccio dell'educazione tra pari, una strategia efficace di prevenzione e promozione della salute mentale. Coinvolgendo studenti, insegnanti e psicologi, l'obiettivo è migliorare il benessere psicofisico e relazionale dei bambini, potenziando autostima, fiducia e senso di sicurezza. L'educazione tra pari, che prevede la trasmissione orizzontale di conoscenze all'interno di un gruppo, favorisce poi lo scambio tra compagni di classe, offrendo supporto tra coetanei.

Ogni classe sviluppa un percorso durante 10 incontri di gruppo della durata di 2 ore ciascuno, programmati a distanza di 2 settimane l'uno dall'altro.

L'attenzione è posta sullo sviluppo di competenze emotive e sociali come la conoscenza e la regolazione delle emozioni, la capacità di assumere il punto di vista dell’altro, l’empatia, l’auto-efficacia, la comunicazione assertiva, che sono alla base di rapporti inter-personali funzionali e inclusivi.

L'approccio pratico, con attività come il role-playing, focus-group e l'utilizzo di tecniche di mindfulness, è integrato con la riflessione cognitiva per favorire la coesione di gruppo e il benessere psicosociale.

Grazie al positivo clima relazionale costruito, i ragazzi affrontano tematiche quali l’accettazione corporea, l’orientamento sessuale, la condivisione di alcune esperienze di vita complesse, la difficile comunicazione con il mondo degli adulti e il giudizio percepito, l’autostima e la valorizzazione di sé.

IncluPsy è un progetto finanziato con il supporto della Commissione europea che ha l’obiettivo di promuovere l'inclusione sociale delle persone che convivono con disturbi mentali. Sono 6 i partner (provenienti da cinque diversi Paesi europei) chiamati a confrontarsi e a scambiare le proprie esperienze al fine di rafforzare le proprie capacità e definire buone pratiche sul tema.

Con Inclupsy si vuole inoltre accrescere la consapevolezza e il coinvolgimento sul tema di un numero più ampio di attori sul tema dell’inclusione sociale. Secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, infatti, un europeo su quattro è affetto da patologie mentali.

Il rapporto “Health at a Glance: Europe”, realizzato da Commissione europea e Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, evidenzia come il disagio psichico sia uno dei temi più urgenti da affrontare e avverte delle conseguenze economiche e sociali del problema.

Le persone con disturbi mentali gravi e persistenti soffrono generalmente di un grande senso di isolamento, della perdita della capacità di intraprendere iniziative e di vivere in alloggi indipendenti, mantenere un lavoro e compiere le normali azioni del quotidiano.

Questi effetti, combinati con la stigmatizzazione e, in certi casi, prolungati e ripetuti ricoveri in psichiatria, diventano essi stessi un fattore di disinserimento sociale, portando le persone a perdere la casa, a vagare in strada ed essere esclusi.

Alla luce dei collegamenti (come causa o conseguenza) tra disturbi mentali ed esclusione sociale, non sorprende che l'inclusione sia una delle priorità europee. Ma quali pratiche vengono implementate dall'Europa per promuovere l'inclusione sociale delle persone che convivono con disturbi mentali? È questa domanda il filo conduttore del progetto IncluPsy.

Vai al sito di IncluPsy.

I giovani europei si confrontano quotidianamente con condizioni sempre più difficili: dal complicato accesso al mondo del lavoro alle aspettative dei genitori, fino al paradosso di internet e dei social media, che connettono e separano allo stesso tempo.

Un maggior numero di giovani manifesta sintomi di disagio mentale, come stress elevato, ansia, depressione, dipendenze. rendendo più difficile costruire il proprio piano di vita e trovare un posto nel mondo.

Per questo, l'Unione europea ha promosso nel 2018 una nuova Strategia sul tema. Uno degli obiettivi individuati riguarda proprio “Salute e benessere mentale”, finalizzato alla promozione dell’inclusione sociale di tutti i giovani, migliorandone il benessere psichico ed eliminando la stigmatizzazione nei loro confronti.

Tale progetto si inserisce in questa cornice investendo sulla formazione e sul riconoscimento delle competenze degli Youth Worker che hanno il compito di guidare e sostenere i giovani nel loro sviluppo personale, sociale ed educativo aiutandoli a raggiungere ed esprimere il loro pieno potenziale nella società. Gli Youth worker apprendendo una serie di di competenze che vanno dall'intelligenza emotiva all'auto-consapevolezza, fino alla gestione del tempo e a sostenere la pressione che arriva dall'esterno, giocano un ruolo chiave, con gli insegnanti e altri professionisti, nel fornire ai giovani una formazione sui problemi di salute mentale e sulla costruzione dell'emotività e nell'affrontare la salute mentale.

Vai al video della conferenza "Colmare il Gap: strumenti di intervento per il benessere e la salute dei giovani".

Disturbi mentali gravi che possono compromettere la capacità genitoriale. Nelle ricerche condotte i figli riferiscono frequentemente esperienze di trascuratezza e abuso, sentimenti di paura o pericolo a causa dei sintomi psichiatrici dei loro genitori di cui sono “costretti” a diventare caregiver.

I dati e le ricerche su questa condizione sono frammentati e troppo spesso lacunosi, ma restituiscono un quadro drammatico. Nel 2004 (Nicholson et al.) riportava che il 67% delle donne e il 75% degli uomini che vivono condizioni di serio disagio psichico (tra cui schizofrenia, disturbi bipolari, depressione grave) sono genitori.

Inoltre, l’interazione fra genetica e ambiente in combinazione con un’elevata esposizione a stress emotivo rappresenta un fattore di rischio per i figli (sia minori che adulti) di sviluppare problemi psichiatrici in futuro.
Da qui la necessità di sensibilizzare e informare la società civile sulla tematica e la messa a fuoco di strumenti concreti di sostegno ai figli di genitori con disagio psichico. Il progetto ha lavorato quindi, grazie alla collaborazione di partner provenienti da diversi paesi (Belgio, Grecia, Italia e Turchia) alla condivisione di buone pratiche sulle strategie di advocacy e alla promozione di un cambiamento nelle policy a livello nazionale e dell’UE. I principali destinatari delle azioni di informazione e sensibilizzazione, oltre ai professionisti della salute mentale, sono stati proprio i caregiver familiari: per orientarli ai servizi di supporto dei servizi di salute mentale e per promuovere scambio di esperienze e di mutuo-aiuto.

Il progetto poneva le sue basi sulla convinzione che una società più accogliente e inclusiva risponde, con maggiore efficacia, alle molteplici criticità derivanti dal disagio psichico. Il lavoro, in questo senso rappresenta un tassello fondamentale nella vita di ciascuno e una tappa essenziale verso la costruzione di una vita autonoma e più appagante.

Le persone coinvolte, nei due anni di vita del progetto, sono state inserite in percorsi modulari che prevedevano diverse azioni tra cui: orientamento e valutazione delle competenze; interventi di empowerment, autopromozione, inclusione sociale; accompagnamento, tutoraggio ed esplorazione delle opportunità formative e lavorative; sostegno psicologico; sostegno e consulenza familiare.
Per ogni persona presa in carico è stato elaborato un progetto individuale partendo dalle competenze e risorse di ciascuno. Il confronto e il dialogo all’interno di laboratori professionalizzanti ed espressivi è stato uno degli elementi di forza del progetto.

Oltre il 60% dei partecipanti hanno partecipato a tirocini formativi, che in alcuni casi sono stati trasformati in veri e propri contratti di assunzione.

Dall’esperienza del progetto “Mettersi in moto” sono nate nel tempo diverse iniziative sull’inclusione lavorativa, anche grazie alle azioni di informazione e sensibilizzazione al mondo pubblico e privato sul disagio psichico.

Scarica la Locandina del Progetto.

Il Progetto è riconosciuto a livello europeo nell’ambito del programma Erasmus+, attraverso il quale la Commissione Europea vuole incentivare il lavoro congiunto tra partner di diversi paesi, per costruire un percorso integrato verso una qualità di vita che faciliti il benessere e l’inclusione sociale, contro lo stigma e l’emarginazione.

Un programma strategico per la Comunità europea, se si pensa che i disturbi mentali colpiscono annualmente circa il 27% (83m.) di cittadini europei (European Social Work, 2013).
HERO - condividendo il know-how di diversi Paesi dell’Unione relativo all’inclusione sociale delle persone con grave disagio psichico, i metodi formativi e la prassi consolidata nel settore dell’housing - si propone di studiare, ciò che rende “terapeutico” un luogo o che lo rende fonte di benessere, non solo per gli utenti, ma anche per i loro familiari, gli operatori, i cittadini. Luoghi che devono essere interconnessi, permeabili, abitabili e modificabili. Dove ciascuno possa sentirsi accolto in quanto persona, non connotato né stigmatizzato. Dove ciascuno possa riconoscere che la salute mentale (e non solo) è un patrimonio che riguarda tutti e si raggiunge se tutti ne sono coinvolti.

Per housing si intende un processo che favorisce il passaggio dalla relazione di aiuto all’inclusione sociale. Numerosi studi hanno mostrato come i servizi “community-based” ottengano risultati migliori in termini di conformità al trattamento, sintomatologia clinica, qualità della vita, stabilità dell’abitare e riabilitazione, rispetto ad altri modelli di cura (Braun P. et al.1981; Conway M. et al.1994; Bond et al.2001). Allo stesso tempo, l’housing così inteso è connesso alla salvaguardia dei diritti (cittadinanza, riduzione dello stigma, etc.), alla razionalizzazione della spesa pubblica (offrendo un’alternativa ai costi di un eccessivo ricorso all’istituzionalizzazione) e allo sviluppo di una cittadinanza attiva e competente.

Ascolto, orientamento e informazione per i
Problemi di
Salute Mentale
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