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don luigi di liegro

UNA VITA DEDICATA ALLA DIFESA DELL’ESSERE UMANO

"Non si può amare senza sporcarsi le mani. Ma soprattutto non si può amare senza condividere”. Si condensa in queste parole la vita straordinaria di don Luigi Di Liegro, nato il 16 Ottobre 1928 e morto il 12 Ottobre 1997. Responsabile dell’Ufficio Pastorale del Vicariato di Roma, primo direttore della Caritas Diocesana, è ricordato ancora oggi come “il prete degli ultimi”, per avere dedicato interamente la sua vita alla difesa dei poveri, degli esclusi, degli emarginati, di qualsiasi provenienza. “Il più grande sacramento è la relazione umana”, scriveva. Denunciando i rischi di una società votata all’esclusivismo e quindi all’esclusione. “La solidarietà nasce dall’analisi della complessità sociale, dal degrado provocato dalla legge del più forte, dalla carenza di etica collettiva”. Guidato da un senso altissimo della partecipazione civica e della dimensione politica: “Una città in cui un solo uomo soffre meno è una città migliore”. A quasi trent’anni dalla sua scomparsa, il pensiero e l’opera di don Luigi rappresentano una luce per tutti coloro che si adoperano per la difesa e la promozione della dignità umana.

Don Luigi Di Liegro ha offerto e chiesto a tutti condivisione. La sua instancabile opera di costruttore della solidarietà rimane una ricchezza inestimabile per Roma e per l’Italia” (Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica Italiana).

La vita di Don Luigi

Quella di don Luigi è stata, fino all’ultimo giorno della sua vita, un’incessante battaglia contro ogni forma di esclusione e di paura dell’estraneo, una radicale difesa dell’umano.

Don Luigi Di Liegro

La fede e le opere

Dal Discorso di don Luigi al Convegno degli Operatori territoriali della Caritas a Roma

"La verità fondamentale del cristianesimo è che Gesù Cristo è nato in mezzo a noi, nella storia umana, nella vita umana, per poterla liberare. L’amore di Dio si è venuto per così dire a “sporcare le mani” nella nostra vita e nella nostra storia. Questo crediamo fermamente e questo esprimiamo con le opere che sono manifestazione e conseguenza della fede. Le opere ci vogliono perché senza di esse la fede diventa solo approfondimento e questo non basta a realizzare quella pienezza che si esprime nel servizio. La vita è salvata perché ci mettiamo al servizio degli altri. Questa è la grande testimonianza che possiamo e dobbiamo dare: siamo i testimoni viventi che Dio si è messo al servizio degli uomini.
Le opere senza la fede e la fede senza le opere sono tutte e due monche, perché separandole, le opere diventano mero attivismo e la fede diventa sterile".

SANTUARIO DEL DIVINO AMORE, 20 SETTEMBRE 1997

Il discernimento

Dal Discorso di don Luigi al Convegno degli Operatori territoriali della Caritas a Roma

Il discernimento è questa domanda: Signore, dove sei? Significa partire da certe situazioni particolari che vivono le persone, che vivono le comunità, situazioni che rivelano la presenza del male e la presenza del bene. Basterebbe questo per capire cosa è il discernimento: un impegno ad andare in profondità, ad entrare nell’intimo delle persone. E’ questa intimità dello Spirito che possiamo e dobbiamo cercare di raggiungere, per cogliere che cosa Lui ci suggerisce quando ci troviamo di fronte a certe situazioni davvero palpitanti, drammatiche, disperate. In situazioni come queste non è portando dei medicinali, o dei viveri, o pagando una bolletta a chi non ha i soldi per farlo che abbiamo risolto il problema delle persone, anche se non si può prescindere da queste necessità né possiamo dire: guarda che io mi interesso solo di cose spirituali. Dobbiamo continuare a fare tutto ciò che la carità ci suggerisce di fare, giudicando attraverso il discernimento, senza fare troppa separazione fra lo spirituale e il materiale.

Don Luigi Di Liegro

Il discernimento ci dovrebbe portare a prendere contatto con queste realtà di sofferenza per chiederci quali sono, come si manifestano e dove. Queste realtà non basta conoscerle numericamente e genericamente: stiamo parlando di persone vive e perciò dobbiamo personalizzarle, individuarle e immedesimarci in ogni singola situazione vissuta, senza limitarci a parole di conforto astratte. Ecco allora il nostro interrogativo di fondo: come, attraverso il mio stile di vita, io posso sentirmi coinvolto nelle diverse sofferenze drammatiche dell’umanità, quelle che scopriamo dentro di noi, nella nostra città, fuori dalla nostra città? Non sono problematiche teoriche ma fatti e situazioni reali: le immigrazioni, i malati di mente, gli handicappati, i tossicodipendenti, i malati terminali, insomma tutti quegli spazi dove la sofferenza umana è più viva e che Dio incarnandosi assume in se stesso per liberarci dalla disperazione e dare un senso al dolore.

Il discernimento entra non nelle teorie ma nei fatti, nelle vite personali e negli eventi. Rappresenta un nuovo modo di pensare, un nuovo modo di interpretare gli avvenimenti. Richiede la metodologia dell’ascolto. Non solo dell’ascolto degli altri, ma dell’ascolto di Dio negli altri. Allora il vero problema non è quello di stabilire se il povero sta dicendo o no la verità: il vero problema è piuttosto aiutare il povero ad accorgersi di Dio. E non intendo una verità puramente spirituale: Dio non è più spirituale da quando si è incarnato. Dio è quella persona che mi sta davanti. Allora attraverso il discernimento noi dovremmo entrare in contatto con questa verità per aiutare la gente ad accorgersi non di noi, non della Chiesa, ma del mistero che è già dentro ognuno di loro.

SANTUARIO DEL DIVINO AMORE, 20 SETTEMBRE 1997

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